Tardorono le genti viniziane a passare il fiume, per il pericolo nel quale sarebbeno incorsi se (come si dubitava) fusse sopravenuta la morte del pontefice; ma costretti finalmente cedere alle sue voglie, lasciate l'altre genti in su le rive di là dal Po, mandorono verso Modona cinquecento uomini d'arme mille seicento cavalli leggieri e cinquemila fanti, ma senza il marchese di Mantova. Il quale, fermatosi a Sermidi a soldare cavalli e fanti, per andare, come diceva, dipoi all'esercito, benché sospetta già a' viniziani la sua tardità, si condusse a San Felice castello del Modonese: dove avuto avviso che i franzesi che erano in Verona erano entrati a predare nel contado di Mantova, allegando la necessità di difendere lo stato suo, se ne tornò con licenza del pontefice a Mantova; ma con querela grave de' viniziani, perché, ancora che avesse promesso di ritornare presto, insospettiti della sua fede, credevano, come similmente fu creduto quasi per tutta Italia, che Ciamonte, per dargli scusa di non andare all'esercito, avesse con suo consentimento fatto correre i soldati franzesi nel mantovano. La quale suspizione si accrebbe, perché da Mantova scrisse al pontefice essere, per infermità sopravenutagli, impedito a partirsi.
Unite che furno intorno a Modena le genti del pontefice le viniziane e le lancie spagnuole, non si dubita che, se senza indugio si fussino mosse, che Ciamonte, il quale, quando si partí del bolognese, aveva per diminuire la spesa licenziati i fanti italiani, arebbe abbandonata la città di Reggio, ritenendosi la cittadella; ma ripreso animo per la tardità del muoversi, cominciò di nuovo a soldare fanti, con deliberazione di attendere solamente a guardare Sassuolo, Rubiera, Reggio e Parma.
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