Ma mentre che quello esercito soggiorna intorno a Modena, incerto ancora se avesse a andare innanzi o volgersi a Ferrara, correndo alcune squadre di quelle della Chiesa verso Reggio, messe in fuga da' franzesi, perderono cento cavalli e fu fatto prigione il conte di Matelica. Nel qual tempo, essendo il duca di Ferrara e con lui Ciattiglione, con le genti franzesi, alloggiati in sul fiume del Po tra lo Spedaletto e il Bondino, opposito alle genti de' viniziani che erano di là dal Po, l'armata loro, volendo, per l'asprezza del tempo e per essere male proveduta da Vinegia, ritirarsi, assaltata da molte barche di Ferrara che con l'artiglieria messono in fondo otto legni, si condusse con difficoltà a Castelnuovo del Po, nella fossa che va nel Tartaro e nello Adice; dove come fu condotta si disperse. Comandò poi il pontefice che l'esercito il quale, non vi essendo venuto il marchese di Mantova, governava Fabrizio Colonna, lasciato a guardia di Modona il duca di Urbino, andasse a dirittura a Ferrara; dando a' capitani, che unitamente dannavano questo consiglio, speranza quasi certa che il popolo tumultuerebbe. Ma il dí medesimo che si erano mossi ritornorono indietro per suo comandamento, non si sapendo quel che l'avesse indotto a sí subita mutazione; e lasciati i primi disegni, andorono a campo alla terra di Sassuolo, ove Ciamonte avea mandati cinquecento fanti guasconi: la quale avendo battuto due dí, con giubilo grande del pontefice, che sentiva della camera medesima il tuono delle artiglierie sue intorno a Sassuolo della quale aveva, pochi dí innanzi, sentito con gravissimo dispiacere il tuono di quelle degli inimici intorno a Spilimberto, gli dettono l'assalto, il quale con piccolissima difficoltà succedette felicemente, perché si disordinorono i fanti che vi erano dentro; e appresentate poi subito l'artiglierie alla fortezza dove si erano ritirati, e cominciata a batterla, si arrenderono quasi subito senza alcuno patto: con la medesima infamia e infelicità di Giovanni da Casale (che era loro capitano) che avea sentita quando il Valentino occupò la rocca di Furlí; uomo di vilissima nazione, ma pervenuto a qualche grado onorato perché nel fiore della età era stato grato a Lodovico Sforza, e poi famoso per l'amore noto di quella madonna.
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