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      E per dare arra quasi certa della medesima degnità a Gurgense, e renderselo con questa speranza piú facile, si riservò, col consentimento del concistorio, facoltà di nominarne un altro riservato nel petto suo.
      Ma inteso che ebbe, Gurgense avere consentito di andare a lui, disposto a onorarlo sommamente, e parendogli niuno onore potere essere maggiore che il pontefice romano farsegli incontro, e oltre a questo dargli maggiore comodità d'onorarlo il riceverlo in una magnifica città, andò da Ravenna a Bologna; dove, il terzo dí dopo l'entrata sua, entrò il vescovo Gurgense, ricevuto con tanto onore che quasi con maggiore non sarebbe stato ricevuto re alcuno: né si dimostrò da lui pompa e magnificenza minore; perché, venendo con titolo di luogotenente di Cesare in Italia, aveva seco grandissima compagnia di signori e di gentiluomini, tutti colle famiglie loro, vestiti e ornati molto splendidamente. Alla porta della città se gli fece incontro, con segni di grandissima sommissione, l'imbasciadore che 'l senato viniziano teneva appresso al pontefice: contro al quale egli, pieno di fasto inestimabile, si voltò con parole e gesti molto superbi, sdegnandosi che uno che rappresentava gli inimici di Cesare avesse avuto ardire di presentarsi al cospetto suo. Con questa pompa accompagnato insino al concistorio publico, ove con tutti i cardinali l'aspettava il pontefice, propose con breve ma superbissimo parlare, Cesare averlo mandato in Italia per il desiderio che aveva di conseguire le cose sue piú tosto per la via della pace che della guerra; la quale non poteva avere luogo se i viniziani non gli restituivano tutto quello che in qualunque modo se gli apparteneva.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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