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      Pontefice, non concedette mai alla republica nostra alcuna di quelle grazie delle quali è solita a essere spesso liberale la sedia apostolica; perché in tante difficoltà e bisogni nostri non consentí mai che una volta sola ci aiutassimo delle entrate degli ecclesiastici (come piú volte aveva consentito Alessandro sesto, benché inimico tanto grande di questa republica) ma, dimostrando nelle cose minori l'animo medesimo che aveva nelle maggiori, ci negò ancora il trarre dal clero i danari per sostentare lo studio publico, benché fusse piccola quantità e continuata con la licenza di tanti pontefici, e che si convertiva in causa pietosa della dottrina e delle lettere. Quel che per Bartolomeo d'Alviano fu trattato col cardinale Ascanio in Roma non fu trattato senza consentimento del pontefice, come allora ne apparirono molti indizi, e tosto ne sarebbono appariti effetti manifesti se gli altri di maggiore potenza che vi intervenivano non si fussino ritirati per la morte improvisa del cardinale: ma benché, cessati i fondamenti primi non volle mai consentire a' giusti prieghi nostri di proibire all'Alviano che non adunasse o intrattenesse soldati nel territorio di Roma, ma proibí bene a' Colonnesi e a' Savelli, per mezzo de' quali aremmo con piccola spesa divertiti i nostri pericoli, che non assaltassino le terre di quegli che si preparavano per offenderci. Nelle cose di Siena, difendendo sempre Pandolfo Petrucci contro a noi, ci astrinse con minaccie a prolungare la tregua, né si interpose poi per altro, perché noi recuperassimo Montepulciano (per la difesa del quale avea mandato gente a Siena), se non per paura che l'esercito del re di Francia non fusse da noi chiamato in Toscana.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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