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      Perciò significorno, nel tempo medesimo: al re, essere difficile l'alloggiarle per la strettezza e sterilità del paese, incomodo non che altro a pascere la moltitudine che conveniva al concilio, né essere necessario, perché Pisa era talmente retta e custodita da loro che i cardinali potevano, senza pericolo o di insulti forestieri o di opposizione di quegli di dentro, sicurissimamente dimorarvi; e al cardinale di San Malò, colla cui volontà si reggevano in queste cose i franzesi, che aveano deliberato di non ammettere in Pisa soldati. Il quale, dimostrando colle parole di consentire, ordinava da altra parte che le genti, separatamente e con minore dimostrazione che si poteva, procedessino innanzi; persuadendosi che approssimate a Pisa vi entrerebbono, o con la violenza o con arti o perché i fiorentini non ardirebbono, con tanta ingiuria del re, di proibirlo. Ma avendo il re risposto apertamente essere contento non vi venissino e da altra parte non lo vietando, i fiorentini mandorno al cardinale di San Malò, con imbasciata pari alla sua superbia, Francesco Vettori, a certificarlo che se i cardinali entravano con l'armi nel dominio loro non solo non gli ammetterebbono in Pisa ma gli perseguiterebbono come inimici: il medesimo, se le genti d'arme passavano l'Apennino verso Toscana, perché presumerebbono non passassino per altro che per entrare poi occultamente o con qualche fraude in Pisa. Dalla quale proposta commosso il cardinale, ordinò che le genti ritornassino di là dallo Apennino; consentendogli i fiorentini che con lui rimanessino, oltre alle persone di Lautrech e di Ciattiglione, cento cinquanta arcieri.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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