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      Altri ricordavano essere cosa non meno vituperosa che dannosa stare oziosamente tanti dí intorno a quelle mura, confermando in uno tempo medesimo gli animi degli inimici che erano dentro e dando spazio di soccorrerla a quegli che erano fuora: però non essere piú da differire il piantare dell'artiglierie, ma in luogo che si potessino comodamente ritirare; facendo, per andare a opporsi a' franzesi, le spianate tanto larghe che insieme si potesse muovere l'artiglierie e l'esercito. All'opinione di quegli che confortavano il dare principio al combattere la terra aderiva cupidissimamente il legato, infastidito di tante dilazioni né già senza sospetto che questo fusse, per ordinazione del re loro, procedere artificioso degli spagnuoli; dolendosi che se avessino subito, quando si accostorno, cominciato a battere la città, forse che a quell'ora l'arebbono espugnata. Non doversi piú moltiplicare negli errori, non stare come inimici intorno a una città e da altra parte fare segni di non avere ardire d'assaltarla: stimolarlo ogni dí con corrieri e con messi il pontefice; non sapere piú che si rispondere né che si allegare, né potere piú nutrirlo con promesse e speranze vane. Dalle quali parole commosso il viceré si
      lamentò gravemente che, non essendo egli nutrito nell'armi e negli esercizi della guerra, volesse essere cagione, col tanto sollecitare, di deliberazioni precipitose. Trattarsi in questi consigli dell'interesse di tutto il mondo, né potersi procedere con tanta maturità che non convenisse usarla maggiore.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094