Parevagli grave il concedere Bologna, non tanto per la instanza che in nome di Cesare gli era fatta in contrario quanto perché temeva che, eziandio fatta la pace, non rimanesse il medesimo animo del pontefice contro a lui; e però essergli dannoso il privarsi di Bologna, la quale difendeva come bastione e propugnacolo del ducato di Milano: e oltre a questo, essendo venuti il cardinale del Finale e il vescovo di Tivoli senza mandato a conchiudere, come circondato allora il papa da tante angustie e pericoli, pareva conveniente segno che simulatamente avesse consentito. Nondimeno, ultimatamente, deliberò accettare i capitoli predetti, con alcune limitazioni ma non tali che turbassino le cose sostanziali: con la quale risposta andò a Roma il secretario del vescovo di Tivoli, ricercando in nome [del re] che 'l pontefice o mandasse il mandato per conchiudere al vescovo predetto e al cardinale o che chiamasse da Firenze il presidente di Granopoli, il quale aveva l'autorità amplissima di fare il medesimo.
Ma nel pontefice augumentavano ogni dí le speranze, e per conseguente diminuiva se inclinazione alcuna aveva avuta alla pace. Era arrivato il mandato del re di Inghilterra per il quale, spedito insino di novembre, dava facoltà al cardinale eboracense d'entrare nella lega; tardato tanto a venire per il lungo circuito marittimo, perché prima era stato in Spagna: e Cesare, di nuovo, dopo lunghe dubitazioni, aveva ratificato la tregua fatta co' viniziani, accendendolo sopra tutto a questo le speranze dategli dal re cattolico e dal re di Inghilterra sopra il ducato di Milano e la Borgogna, e mandato Alberto Pio a Vinegia.
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