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      Però andorono da Verona a Villafranca, dove si unirono con l'esercito viniziano; nel quale sotto il governo di Giampaolo Baglione erano quattrocento uomini d'arme ottocento cavalli leggieri e seimila fanti, con molti pezzi di artiglieria atti all'espugnazione delle terre e alla campagna. Fu questo causa che la Palissa, abbandonata Valeggio perché era luogo debole, si ritirò a Gambara con intenzione di fermarsi a Pontevico; non avendo nello esercito piú che sei o settemila fanti, perché gli altri erano distribuiti tra Brescia, Peschiera e Lignago, né piú che mille lancie; perché, se bene fusse stato inclinato a richiamare le trecento che erano a Parma, l'aveva il pericolo manifestissimo di Bologna costretto, dopo grandissima instanza de' Bentivogli, a ordinare che entrassino in quella città, restata quasi senza presidio. Quivi accorgendosi tardi de' pericoli loro e della vanità delle speranze dalle quali erano stati ingannati, e sopratutto lacerando l'avarizia e i cattivi consigli del generale di Normandia, lo costrinsono a consentire che Federigo da Bozzole e certi altri capitani italiani soldassino con piú prestezza potessino seimila fanti, rimedio che non si poteva mettere in atto se non dopo il corso almeno di dieci dí. E indeboliva l'esercito franzese oltre al piccolo numero de' soldati la discordia tra i capitani, perché gli altri quasi si sdegnavano di ubbidire al la Palissa; e la gente d'arme, stracca da tante fatiche e cosí lunghi travagli, desiderava piú presto che si perdesse il ducato di Milano, per ritornarsene in Francia, che difenderlo con tanto disagio e pericolo.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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