Udillo assai benignamente il pontefice, e deputò sei cardinali a trattare seco le condizioni della concordia: i quali, poi che piú dí fu disputato, gli aperseno che non intendeva il papa in modo alcuno privare la Chiesa della città di Ferrara poi che legittimamente gli era ricaduta, ma che in ricompenso gli darebbe la città d'Asti, la quale, ricevuta per la partita de' franzesi in potestà della lega, il pontefice, pretendendo appartenersi alla Chiesa tutto il di qua da Po, aveva mandato benché invano il vescovo agrigentino a prenderne il possesso. La qual cosa negando Alfonso costantemente, cominciò, per questa dimanda tanto diversa dalle speranze dategli, né meno per quel che di nuovo era succeduto a Reggio, a temere che il pontefice non lo intrattenesse artificiosamente in Roma per assaltare nel tempo medesimo Ferrara.
Aveva il pontefice invitati i reggiani, i quali in tanta confusione delle cose non mediocremente temevano, che seguitando l'esempio de' parmigiani e de' piacentini si dessino alla Chiesa, e ordinato che, perché fussino piú efficaci i conforti suoi, il duca d'Urbino con le genti venisse nel modonese. Tentava il medesimo per Cesare Vitfrust, andato personalmente in Reggio; e il cardinale da Esti, il quale assente il fratello aveva la cura del suo stato, conoscendo non potere conservare quella città, e giudicando essere meno pernicioso allo stato loro che venisse in potestà di Cesare, il quale non pretendeva a Ferrara e nelle cui cose si poteva sperare maggiore varietà, confortava i reggiani a riconoscere piú presto il nome dello imperio: ma essi, rispondendo volere seguitare l'esempio del duca che era andato al pontefice non a Cesare, introdussono nella terra le genti della Chiesa; le quali con arte occuporno ancora la cittadella, con tutto che Vitfrust vi avesse già messi alcuni de' suoi fanti.
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