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      Né nascere da giusto zelo o da sospetto la querela delle protezioni di Toscana, ma perché alla sua cupidità rimanessino in preda Siena, Lucca e Piombino; accennando nondimeno che di queste si riferirebbe il re all'arbitrio di Cesare. Consentivano tutti i confederati unitamente che nel ducato di Milano entrasse Massimiliano Sforza, non consentendo per ciò Cesare di investirnelo, o di dargli nome di duca o alcuno titolo giuridico. Ma insorgeva la querela di Gurgense e degli spagnuoli, dell'occupazione di Parma e di Piacenza, in pregiudicio delle ragioni dello imperio, in troppa grandezza de' pontefici e in troppa debolezza del ducato di Milano; il quale sarebbe stato necessario fare piú potente perché aveva sempre, a essere il primo percosso da' franzesi. Non avere ne' capitoli della lega parlato il pontefice d'altro che di Bologna e di Ferrara; ora, con ragioni delle quali non apparisca alcuna autentica memoria, usurparsi quello che da grandissimo tempo in qua non avesse mai la Chiesa romana posseduto, né che anche si avesse certa notizia che l'avesse mai possedute, eziandio ne' tempi antichissimi; né mostrarsi delle donazioni degli imperadori altro che una semplice carta che poteva essere stata finta ad arbitrio di ciascuno, e nondimeno il pontefice, come in cosa manifesta e notoria, con la occasione de' tumulti di Lombardia, aversi amministrato ragione da se stesso.
      Ma tutte queste dispute [non] difficilmente si risolvevano: solamente turbava tutte le cose la differenza tra Cesare e i viniziani.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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