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      E certamente non era vano il sospetto del re, perché il pontefice desiderava sommamente che i franzesi non avessino piú sedia in Italia, o perché gli paresse piú utile per la sicurtà comune o per la grandezza della Chiesa o perché gli risedesse nell'animo la memoria delle offese ricevute dalla corona di Francia: alla quale se bene il padre e gli altri suoi maggiori fussino stati deditissimi, e n'avessino in vari accidenti riportato comodità e onore, nondimeno era piú fresco che i suoi fratelli ed egli erano stati cacciati di Firenze per la venuta del re Carlo; e che questo presente re, favorendo il governo popolare, o gli aveva sempre dispregiati o se alcuna volta si era dimostrato inclinato a loro l'aveva fatto per usargli come instrumenti a tirare per questo sospetto i fiorentini a convenzioni utili a sé proprio, dimenticandosi di loro interamente. Aggiugnevasi per avventura lo sdegno di essere stato, dopo la giornata di Ravenna, menato prigione a Milano e che il re aveva comandato fusse condotto in Francia. Ma quantunque, o per queste cagioni o per altre, avesse questa disposizione, il non vedere i fondamenti potenti, come arebbe desiderato, a resistere lo faceva procedere cautamente e dissimulare quanto poteva il concetto suo, udendo sempre cupidamente le dimande e le instanze che gli erano fatte contro al re.
      Perché i svizzeri, inclinatissimi a muoversi per difendere il ducato di Milano, offerivano muoversi con numero molto maggiore purché gli fusse porta quantità mediocre di danari; la quale, per la impotenza degli altri, non si poteva sperare se non dal pontefice.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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