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      Entrorno ne' dí medesimi in Brescia, in favore de viniziani, alcuni de' principali della montagna con molti paesani, e nondimeno l'Alviano, benché pregato dagli imbasciadori bresciani che lo trovorno a Gambera, e facendone instanza il proveditore viniziano, non volle consentire di andare a Brescia, per dimorarvi pure un dí solo a fine si recuperasse la fortezza, guardata in nome del viceré: tanto era l'ardore di proseguire senza alcuna intermissione la prima deliberazione. Con la quale celerità venuto alle porte di Cremona, e trovando che nel medesimo tempo vi entrava, pure in favore del re di Francia, Galeazzo Palavicino chiamato da alcuni cremonesi, non volendo comunicare ad altri la gloria d'averla ricuperata, roppe e messe in preda le genti sue; ed entrato dentro svaligiò Cesare Fieramosca, che con trecento cavalli e cinquecento fanti del duca di Milano vi era rimasto a guardia. Né accadeva perdere tempo per la recuperazione della fortezza, perché sempre era stata tenuta per il re di Francia, proveduta poco innanzi di vettovaglie da Renzo da Ceri; il quale nel ritornare a Crema, ove era preposto alla guardia, avendo scontrati a Serzana dugento cavalli d'Alessandro Sforza gli aveva rotti: donde fermatosi alla Cava in sul Po, col ponte ordinato per passare, non proibí che i suoi soldati non molestassino alcuna volta le terre del pontefice. Andò di poi a Pizichitone; avendo già, per la mutazione di Cremona, Sonzino, Lodi e l'altre terre circostanti alzate le bandiere de' franzesi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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