Era in questo mezzo il viceré andato alla Battaglia, luogo distante da Padova sette miglia; dove Carvagial, cavalcando inavvertentemente con pochi cavalli a speculare il sito del paese, fu preso da Mercurio capitano de' cavalli leggieri de' viniziani. Al qual tempo, venuto il vescovo Gurgense all'esercito, si consultava quello si dovesse fare; e proponeva Gurgense l'andare a campo a Padova, dimostrando sperare tanto nella virtú de' tedeschi e degli spagnuoli contro agli italiani che avessino finalmente a superare tutte le difficoltà. Essere poco meno laboriosa l'espugnazione di Trevigi, ma diversissimo il premio della vittoria; perché l'ottenere solamente Trevigi era alla somma delle cose di piccolo momento, ma per la spugnazione di Padova assicurarsi interamente le terre suddite a Cesare dalle molestie e da' pericoli della guerra, e privarsi di ogni speranza i viniziani d'avere mai piú a ricuperare le cose perdute. In contrario sentivano il viceré e quasi tutti gli altri capitani, giudicando piú tosto impossibile che difficile lo sforzare Padova, per le fortificazioni quasi incredibili, munitissima d'artiglierie e di tutte le cose opportune alla difesa, e proveduta molto abbondantemente di soldati; e nella quale erano venuti, come l'altre volte aveano fatto, molti giovani della nobiltà viniziana. Dicevano la terra essere grandissima di circuito, e per questo, e per la moltitudine de' difensori e per l'altre difficoltà, bisognare circondarla e combatterla con due eserciti; e nondimeno, non che altro, non n'avere un solo sufficiente, non essendo grande il numero de' loro soldati e, di questi, i tedeschi, insoliti a sopportare malvolentieri la tardità de' pagamenti, non troppo pronti: non abbondare di munizioni, e avere carestia di guastatori, cosa molto necessaria a tanto ardua espugnazione.
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