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      Sapeva essere in Cesare la medesima disposizione di offenderlo; e temeva che il re cattolico, il quale con vari sotterfugi aveva scusato la tregua fatta per non se gli alienare totalmente, non pigliasse l'armi insieme con loro. Anzi n'aveva potenti indizi, perché era stata intercetta una lettera nella quale quel re, scrivendo allo imbasciadore residente appresso a Cesare, dimostrando l'animo molto alieno dalle parole, con le quali sempre dimostrava ardente desiderio di muovere guerra contro agli infedeli e di passare personalmente alla recuperazione di Ierusalem, proponeva che comunemente si attendesse a fare pervenire il ducato di Milano in Ferdinando nipote comune, fratello minore dello arciduca; dimostrando che, fatto questo, il resto d'Italia era necessitato di ricevere le leggi da loro, e che a Cesare sarebbe facile, congiunti massime gli aiuti suoi, pervenire, come dopo la morte della moglie era stato sempre suo desiderio, al pontificato, il quale ottenuto rinunzierebbe allo arciduca la corona imperiale: conchiudendo però che cose sí grandi non si potevano condurre a perfezione se non col tempo e con le occasioni. Era anche manifesto al re di Francia l'animo de' svizzeri, a' quali offeriva grandissime condizioni, non placarsi in parte alcuna verso lui; anzi essersi nuovamente irritati perché gli statichi dati loro dal la Tramoglia, temendo per inosservanza del re di non essere decapitati, si erano occultamente fuggiti in Germania: donde meritamente aveva paura che, o di presente o almanco l'anno prossimo, per la occasione di tanti altri suoi travagli, non assaltassino o la Borgogna o il Dalfinato.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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