Ma il re cattolico, con tutto che in lui potesse come sempre il desiderio di non avere guerra propinqua a' confini di Spagna, pure considerando quanto sospetto darebbe la prorogazione della tregua a svizzeri, e che questo, non essendo piú né credute le sue parole né uditi i consigli suoi, sarebbe cagione che il pontefice, ambiguo insino a quel dí, si rivolgerebbe alla amicizia franzese, ricusò finalmente di prolungare la tregua se non con le medesime condizioni con le quali l'aveva rinnovata col re passato. Onde il re Francesco, escluso da questa speranza, e meno sperando che Cesare contro alla volontà e consigli di quel re avesse a convenire seco, riconfermò col senato viniziano la lega nella forma medesima che era stata fatta coll'antecessore. Rimanevano il pontefice e i svizzeri. A questi dimandò che ammettessino i suoi imbasciadori; ma essi, perseverando nella medesima durezza, ricusorno concedere il salvocondotto: col pontefice, dalla volontà del quale dipendevano interamente i fiorentini, non procedette per allora piú oltre che a confortarlo a conservarsi libero da qualunque obligazione, acciocché, quando i progressi delle cose lo consigliassino a risolversi, fusse in sua potestà l'eleggere la parte migliore: ricordandogli che mai da niuno piú che da sé arebbe, per sé e per la casa sua, né piú sincera benivolenza né piú intera fede né maggiori condizioni.
Gittati il re questi fondamenti alle cose sue, cominciò a fare studiosamente provedimenti grandissimi di danari, e ad accrescere insino al numero di quattromila l'ordinanza delle sue lancie; divulgando fare queste cose non perché avesse pensieri di molestare, per questo anno, altri ma per opporsi a' svizzeri, i quali minacciavano, in caso che egli non adempiesse le convenzioni fatte, in nome del re morto, a Digiuno, di assaltare o la Borgogna o il Dalfinato: la quale simulazione aveva appresso a molti fede di verità, per l'esempio de' prossimi re i quali aveano sempre fuggito lo implicarsi in nuove guerre nel primo anno del regno loro.
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