Aveva il pontefice avuto nell'animo di muovergli, piú mesi prima, la guerra, movendolo, oltre alle ingiurie nuove, lo sdegno quando negò di aiutare il fratello e lui a ritornare in Firenze; ma lo riteneva alquanto la vergogna di perseguitare il nipote di colui per opera del quale era salita la Chiesa a tanta grandezza, e molto piú i prieghi di Giuliano suo fratello; il quale, nel tempo dello esilio loro, dimorato molti anni nella corte di Urbino appresso il duca Guido e, morto lui, appresso al duca presente, non poteva tollerare che da loro medesimi fusse privato di quel ducato nel quale era stato sostentato e onorato. Ma morto dopo lunga infermità Giuliano de' Medici in Firenze e diventato vano il movimento di Cesare, il pontefice, stimolato da Lorenzo nipote e da Alfonsina sua madre, cupidi di appropriarsi quello stato, deliberò non tardare piú; allegando per scusa della ingratitudine, la quale da molti era rimproverata, non solamente l'offese ricevute da lui, le pene nelle quali secondo la disposizione della giustizia incorreva uno vassallo contumace al suo signore, uno soldato il quale obligatosi e ricevuti i danari denegava le genti a chi l'aveva pagate, ma molto piú essere pericoloso il tollerare, nelle viscere del suo stato, colui il quale avendo cominciato, senza rispetto della fede e dell'onore, a offenderlo, poteva essere certo che quanto maggiore si dimostrasse l'occasione tanto piú sarebbe pronto a fare per l'avvenire il medesimo.
Il progresso di questa guerra fu che, come Lorenzo, coll'esercito raccolto de' soldati e de' sudditi della Chiesa e de' fiorentini, toccò i confini di quel ducato, la città di Urbino e l'altre terre di quello stato si dettono volontariamente al pontefice; consentendo il duca, il quale si era ritirato a Pesero, che, poi che non gli poteva difendere, si salvassino.
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