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      Questo esercito adunque, da essere stimato per la virtú molto piú che per il numero o per gli apparati che avessino di sostentare la guerra (perché non avevano né danari né artiglierie né munizioni né, da cavalli e armi in fuora, alcuna di quelle tante provisioni che sogliono seguitare gli eserciti), si partí per andare nello stato d'Urbino, il dí medesimo che a' viniziani fu consegnata la città di Verona.
      Della quale cosa, come fu sentita dal pontefice, ne ricevé grandissima perturbazione: perché considerava la qualità dello esercito, formidabile per l'odio de' capitani e per la virtú e riputazione de' fanti spagnuoli: sapeva la inclinazione che avevano i popoli di quel ducato a Francesco Maria, per essere stati lungamente sotto il governo mansueto della casa da Montefeltro, l'affezione della quale avevano trasferita in lui, nutrito in quello stato e nato di una sorella del duca Guido. Dava, oltre a questo, molestia grandissima al pontefice l'avere a fare la guerra con uno esercito che, senza potere perdere cosa alcuna, si moveva solamente per desiderio di prede e di rapine; per la dolcezza delle quali temeva che molti soldati, restati per la pace fatta senza guadagni, non si unissino con loro. Ma quello che sopra tutto tormentava l'animo suo era il sospetto che questo movimento non fusse con partecipazione del re di Francia. Perché, oltre al sapere essergli stata molesta la guerra fatta contro a Francesco Maria, era conscio a se medesimo quante cagioni avesse date a quel re di essere malcontento di lui: per non gli avere osservato nella passata di Cesare la confederazione fatta dopo l'acquisto di Milano; per avergli, poi che fu ritornato a Roma, mandata una bolla sopra la collazione de' benefici del regno di Francia e del ducato di Milano di tenore diverso dalla convenzione che n'aveva fatta in Bologna (la quale per la brevità del tempo non era stata sottoscritta), la quale il re sdegnato recusò d'accettare; per le cose trattate occultamente con gli altri príncipi e con i svizzeri contro a lui; per avere poco innanzi, desiderando di impedire direttamente la recuperazione di Verona, permesso che i fanti spagnuoli che da Napoli andavano a soccorrerla passassino separatamente per lo stato della Chiesa, scusandosi non volere dare loro causa di passare uniti perché non era sufficiente a impedirgli; non avere, secondo le promesse fatte a Bologna, concedutagli la decima se non con implicate condizioni; non restituito le terre al duca di Ferrara.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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