In questa sospensione di animo non cessavano né Lorenzo suo nipote né lui di mandare continuamente gente in Romagna, parte di fanti che si soldavano di nuovo parte di battaglioni dell'ordinanza fiorentina; acciocché uniti con Renzo da Ceri e con Vitello, i quali erano con le loro genti d'arme a Ravenna, facessino resistenza al transito degli inimici. Ma essi, passato Po a Ostia, prevenendo con la celerità loro gli apparati degli altri, erano per la via di Cento e di Butrio, attraversato il contado di Bologna, entrati nelle terre sottoposte al duca di Ferrara. Da' quali luoghi, saccheggiato Granarolo castello del faventino, si accostorono a Faenza per tentare se, per nome di uno giovane de' Manfredi che era in quello esercito, facessino i faventini qualche mutazione; ma non si movendo dentro cosa alcuna passorono piú oltre, senza tentare alcuna altra delle terre di Romagna, nelle quali tutte erano a guardia o genti d'arme o fanterie: e per meglio assicurarsi di Rimini, Renzo e Vitello vi erano andati per mare. Venne e Lorenzo a Cesena per raccorre quivi e a Rimini le sue genti, ma essendo già passati gli inimici; né cessava in questo mezzo di soldare genti in molti luoghi, le quali gli abbondorno sopra la volontà e consiglio suo; perché partendosi da Lautrech, per ritornarsene alle case loro, dumila cinquecento fanti tedeschi e piú di quattromila guasconi, Giovanni da Poppi secretario di Lorenzo, stato per lui piú mesi appresso a Lautrech, o essendosi vanamente lasciato mettere sospetto che questa fanteria, non avendo stipendio da altri, seguiterebbe Francesco Maria o persuadendosi leggiermente che con queste forze si otterrebbe presto la vittoria, gli condusse di propria autorità, usando l'autorità di Lautrech co' capitani; e gli voltò subito verso Bologna: di maniera che al pontefice e a Lorenzo, a' quali, per il sospetto che aveano del re, fu questa cosa molestissima, non rimase luogo di recusargli; temendo che, poi che erano venuti tanto innanzi, non andassino a unirsi cogli inimici.
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