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      Procedeva in questo mezzo Francesco Maria, ed entrato nello stato d'Urbino era ricevuto per tutto con letizia grande de' popoli, non essendo nelle terre soldato alcuno; perché Lorenzo, non avendo avuto tempo a provedere in tanti luoghi, aveva solamente pensato alla difesa della città di Urbino, sedia e capo principale di quel ducato. Perciò per consiglio di Vitello v'avea mandato duemila fanti da Città di Castello, e in luogo di Vitello, che ricusò di andarvi, Iacopo Rossetto da Città di Castello: il quale, consigliando molti che, essendo il popolo sospettissimo, si cacciassero della città tutti coloro che erano abili a portare arme, ricusò di farlo. Voltossi adunque Francesco Maria, non perduto tempo altrove, a Urbino; e se bene la prima volta che si accostò alle mura fusse vano il conato suo, nondimeno la seconda volta che vi si accostò, Iacopo Rossetto convenne di dargli la terra, mosso o da infedeltà, come molti credevono, o da timore, per essere il popolo tutto sollevato; perché delle forze sole degli inimici, che non aveano né artiglierie né apparati da spugnare terre, non avea causa di temere. Uscirno, secondo le convenzioni, i soldati salvi con le robe loro: il vescovo Vitello, che in nome del nuovo duca governava quello stato, e sotto il quale pareva che niuna cosa succedesse mai prosperamente, rimase prigione. Seguitò l'esempio di Urbino, da Santo Leo in fuora, che per il sito munitissimo con piccolo presidio si difendeva, tutto il ducato. La città di Agobbio, che da principio avea chiamato il nome di Francesco Maria, e di poi, pentendosi, ritornata alla ubbidienza di Lorenzo, veduti i successi tanto prosperi, fece il medesimo che l'altre.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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