Ma la impazienza di Alfonso difficultò molto la speranza di questa cosa. La quale mentre che si tratta con lunghezza, Alfonso non sapendo contenersi di lamentarsi molto palesemente della ingratitudine del pontefice, diventando ogni dí piú esoso, e venuto in sospetto che non macchinasse qualche cosa contro allo stato, fu finalmente quasi costretto di partirsi, per sicurtà di se stesso, da Roma. Ma vi lasciò Antonio Nino suo secretario; tra il quale e lui essendo continuo commercio di lettere, comprese il pontefice, per alcune che furono intercette, trattarsi contro alla vita sua. Però, sotto colore di volere provedere alle cose di Alfonso, lo chiamò a Roma, concedutogli salvocondotto, e data, per la bocca propria, fede di non lo violare allo oratore del re di Spagna. Sotto la quale sicurtà, ancora che conscio di tanta cosa, andato imprudentemente innanzi al pontefice, furono, egli e Bandinello cardinale de' Sauli genovese, fautore anche esso della assunzione di Lione al pontificato ma intrinseco tanto di Alfonso che si pensava fusse conscio d'ogni cosa, ritenuti nella camera medesima del papa, donde furono menati prigioni in Castello Santo Agnolo; e subitamente ordinato che Batista da Vercelli, il quale allora medicava in Firenze, fusse incarcerato e incontinente mandato a Roma. Sforzossi con ardentissime querele e pretesti di fare liberare Alfonso l'oratore del re di Spagna, allegando la fede data a lui come a oratore di quel re non essere altro che la fede data al re proprio.
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