Dove andando la mattina seguente Giampaolo per presentarsegli fu, innanzi arrivasse al cospetto suo, incarcerato dal castellano, e dipoi per giudici diputati esaminato rigorosamente confessò molti gravissimi delitti, sí per cose attenenti alla conservazione della tirannide come per piaceri nefandi e altri suoi interessi particolari; per i quali, poi che fu stato in carcere piú di due mesi, fu decapitato secondo l'ordine della giustizia: movendosi, secondo si credette, il pontefice a questo per avere, nella guerra d'Urbino, compreso per molti segni Giampaolo essere d'animo alieno da lui, avere tenuto pratiche con Francesco Maria, né potere in qualunque accidente gli sopravenisse fare fondamento fermo in lui, e conseguentemente, mentre che egli era in quello stato, nelle cose di Perugia. Le quali per riordinare a suo proposito, essendosi i figliuoli di Giampaolo fuggiti come ebbono nuove della sua retenzione, dette quella legazione a Silvio cardinale di Cortona, antico servidore e allievo suo; restituí Gentile in Perugia, al quale donò i beni che erano stati posseduti da Giampaolo, e appoggiandosi a uno subietto molto debole voltò la riputazione e grandezza a lui.
Continuò medesimamente questo anno il pontefice (attribuendo piú al caso o alla poca prudenza che ad altro l'occasione perduta del vescovo di Ventimiglia) di tentare nuove insidie contro al duca di Ferrara, per mezzo di Uberto da Gambara protonotario apostolico, con Ridolfel tedesco, capitano di alcuni fanti tedeschi che Alfonso teneva alla sua guardia; il quale gli aveva promesso dargli a suo piacere la entrata della porta di Castello Tialto.
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