Perché, se bene tra Cesare e il re di Francia crescessino continuamente le male inclinazioni, nondimeno né avevano cagioni molto urgenti alla guerra presente né eccedevano tanto l'uno l'altro di potenza in Italia né di alcuna opportunità che, senza compagnia di qualcun altro de' príncipi italiani, fussino bastanti a offendersi. Perché il re di Francia, avendo congiunti seco i viniziani alla difesa dello stato di Milano, ed essendo i svizzeri non pronti piú a fare le guerre in nome proprio ma disposti solamente a servire come soldati chi gli pagasse, non aveva cagione di temere movimento alcuno di Cesare, né per via del reame di Napoli né per via di Germania; né da altra parte aveva facilità di offendere Cesare nel reame di Napoli, non concorrendo seco a quella impresa il pontefice; il quale ciascuno di loro, con varie offerte e arti, si cercava di conciliare: in modo che si credeva che se il pontefice, perseverando a stare di mezzo tra tutti due, stesse vigilante e sollecito a temperare, con l'autorità pontificale e con la fede che gli darebbe la neutralità, gli sdegni, e reprimere l'origine de' consigli inquieti, si avesse a conservare la pace. Né si vedeva cagione che lo necessitasse a desiderare o a suscitare la guerra, perché e prima aveva tentato l'armi infelicemente e, amendue questi príncipi tanto grandi, aveva da temere parimente della vittoria di ciascuno di loro; conoscendosi chiaramente che quello che rimanesse superiore non arebbe né ostacolo né freno a sottoporsi tutta Italia.
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