Il quale, se bene, dubitando della varietà e della negligenza del re e di quegli che governavano, recusasse di partirsi se prima non gli erano numerati trecentomila ducati, i quali affermava bastargli a difendere quello stato, nondimeno, vinto dalla instanza grande del re e della madre, e ingannato dalla fede datagli da loro e da' ministri preposti alla amministrazione delle pecunie che non prima arriverebbe a Milano che i danari dimandati, ritornò con grandissima celerità, preparando sollecitamente le cose necessarie alla difesa; per la quale aveva insieme col re deliberato che alle genti d'arme regie che allora erano in Lombardia si unissino gli aiuti di seicento uomini d'arme e di seimila fanti a' quali erano tenuti i viniziani, che prontamente gli offerivano, e già facevano cavalcare le genti d'arme nel veronese e nel bresciano; soldare diecimila svizzeri, tenendo per certo che per virtú della nuova confederazione non sarebbono negati; e fare passare di Francia in Italia seimila venturieri, e aggiugnere qualche numero di fanti italiani. Co' quali sussidi speravano o potere senza molto pericolo tentare la fortuna di una giornata o, quando non avessino forze bastanti a questo, almeno, provedendo sufficientemente le terre e temporeggiando in sulle difese, straccare gli inimici; de' quali l'uno, per la sua naturale prodigalità e per le spese fatte nella guerra di Urbino, era esausto di danari, all'altro i regni suoi non ne somministravano copia tale che si credesse potere lungamente nutrire una guerra di tanto peso.
| |
Milano Lombardia Francia Italia Urbino
|