Ricevé ancora in grazia il pontefice il duca di Ferrara, rinvestendolo non solamente di Ferrara e di tutto quello che innanzi alla guerra mossa da Lione contro a' franzesi possedeva appartenente alla Chiesa, ma lasciandogli eziandio, con grave nota sua o de' ministri che usavano male la sua imperizia, le castella di San Felice e del Finale; quali, acquistate da lui quando roppe la guerra a Lione e dipoi riperdute innanzi alla sua morte, aveva di nuovo riprese per l'occasione della vacazione della Chiesa. Obligossi il duca di Ferrara ad aiutare con certo numero di gente la Chiesa quando occorresse per la difesa del suo stato, e si astrinse con gravissime pene, sottomettendosi ancora al ricadere della investitura e alla privazione di tutte le sue ragioni, in caso che in futuro offendesse piú la sedia apostolica. Dettegli ancora il pontefice non piccola intenzione di restituirgli Modena e Reggio: benché da questo, essendogli dipoi dimostrata la importanza della cosa e, per lo esempio degli antecessori suoi, la infamia che ne perverrebbe al suo nome, si alienò con l'animo ogni dí piú.
Nel quale tempo il castello di Milano, stretto da carestia di ogni cosa eccetto che di pane, e pieno di infermità, convenne di arrendersi, salve le robe e le persone, se per tutto il dí quartodecimo di aprile non era soccorso: al quale tempo, osservata la convenzione, apparí essere morta la piú parte degli uomini che vi erano dentro. Consentí Cesare, con laude non piccola appresso agli italiani, che fusse consegnato in potestà del duca Francesco Sforza: né si teneva piú altro per i franzesi in Italia che il castello di Cremona, provisto ancora delle cose necessarie abbondantemente.
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