Mentre che staranno in questi sospetti e in queste ambiguità non occuperanno per sé il ducato di Milano, non tratteranno se non con minaccie vane di offenderci; se noi gli assicureremo da questo timore sarà in potestà loro di fare l'uno e l'altro: e se lo faranno, come è verisimile, di chi altri potremo noi piú lamentarci che di noi medesimi e della nostra troppa timidità e del desiderio immoderato della pace? La quale è desiderabile e santa, quando assicura da' sospetti, quando non augumenta il pericolo, quando induce gli uomini a potersi riposare e alleggierirsi dalle spese; ma quando partorisse gli effetti contrari è, sotto nome insidioso di pace, perniciosa guerra; è, sotto nome di medicina salutifera, pestifero veleno. Se adunque il fare noi confederazione con Cesare esclude il re di Francia dalle imprese d'Italia, dà a lui facoltà di occupare ad arbitrio suo il ducato di Milano, occupato quello pensare a deprimere noi, ne séguita che noi comperiamo, con grandissima infamia del nome nostro con maculare la fede di questa republica, la grandezza di un principe il quale non ha manco distesa l'ambizione che la potenza e che pretende, egli e il fratello, che tutto quello che noi possediamo in terra ferma appartenga a loro; e che escludiamo da Italia uno principe che con la grandezza assicuri la libertà di tutti gli altri e che sarebbe necessitato a essere congiuntissimo con noi. Chi propone queste ragioni, tanto evidenti e tanto palpabili, non può già essere imputato che lo muova l'affezione piú che la verità, piú gli interessi propri che l'amore della republica.
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