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      Divisonsi poi i vincitori in piú parti: a Lodi fu mandato il duca di Urbino, ad Alessandria il marchese di Pescara; le quali città sole si tenevano in nome del re, perché Novara, accostandovisi il duca di Milano e Giovanni de' Medici, si era arrenduta: al viceré rimase la cura di andare incontro al marchese del Rotellino, il quale con quattrocento lancie aveva passato i monti: ma questo, intesa la partita dell'ammiraglio, ritornò subito in Francia. Né feciono resistenza alcuna Boisí e Giulio da San Severino preposti alla guardia di Alessandria. Similmente Federico, dimandato tempo di pochi dí per certificarsi se era vero che l'ammiraglio avesse passato i monti, convenne di lasciare Lodi; riservatasi facoltà, come eziandio era stato conceduto a quegli di Alessandria, di condurre in Francia i fanti italiani: i quali, in numero circa cinquemila (che tanti erano nell'una e l'altra città), furno poi alle cose del re di grandissimo giovamento.
      Questo fine ebbe la guerra fatta contro al ducato di Milano sotto il governo dell'ammiraglio: per il quale non essendo indebolita la potenza del re di Francia né stirpate le radici de' mali, non si rimovevano ma solamente si differivano in altro tempo tante calamità; rimanendo in questo mezzo Italia liberata dalle molestie presenti ma non dal sospetto delle future. Tentossi nondimeno per Cesare, stimolato dal duca di Borbone e invitato dalla speranza che l'autorità di quel duca avesse a essere di grandissimo momento, di trasferire la guerra in Francia, dimostrandosi pronto al medesimo il re di Inghilterra.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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