Ma il Morone, conoscendo che il mettere l'esercito in Milano piú tosto partorirebbe la ruina di quello che la difesa della città, fatta altra deliberazione, fermatosi in mezzo della moltitudine, parlò cosí: - Noi possiamo oggi dire, né con minore molestia di animo, le parole medesime che nelle angustie sue disse il Salvatore: “lo spirito certamente è pronto, la carne inferma”. Voi avete il medesimo ardore che avete avuto sempre di conservarvi per signore Francesco Sforza; a lui trafiggono, come sempre, il cuore i pericoli e le calamità del suo diletto popolo; egli è parato a mettere la vita propria per salvarvi, voi con non minore prontezza l'esporreste al presente che molte volte l'avete esposta per il passato. Ma alla volontà non corrispondono da parte alcuna le forze; perché per l'essere la città quasi vota d'abitatori, esserci strettezza di vettovaglie, mancamento di danari e i bastioni quasi per terra, non ci è modo di proibire che i franzesi non ci entrino. Duole al duca quanto la morte l'essere necessitato ad abbandonarvi, ma molto piú che la morte gli dorrebbe che il volervi difendere fusse cagione dell'ultimo eccidio vostro, come senza dubbio alcuno sarebbe. Ne' mali tanto gravi è tenuto prudente chi elegge il male minore, chi non si dispera tanto che abbandoni con una sola deliberazione tutte le sue speranze. Però il duca vi conforta a cedere alla necessità, che ubbidiate al re di Francia per riserbarvi a tempi migliori; i quali abbiamo grandissime cagioni di sperare che presto ritorneranno.
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