Grave era questa dimanda al pontefice, a cui sarebbe stato molestissimo che al re di Francia pervenisse oltre al ducato di Milano il regno di Napoli, ma, non avendo ardire apertamente di negarla, confortava il re che per allora non facesse questa impresa, né mettesse lui in necessità di non gli concedere quello che per giusti rispetti non poteva consentire; dimostrandogli con prudente discorso questo pensiero essere contro alla propria utilità: perché se la cupidità di ricuperare il ducato di Milano gli avea per il passato concitati tanti inimici, che farebbe ora il vedersi che aspirasse anche al regno di Napoli? che maraviglia sarebbe se questo movesse i viniziani a prendere la guerra per Cesare, trapassando ancora gli oblighi della loro confederazione? Considerasse che, se per disavventura si difficultassino i progressi suoi in Lombardia, con che riputazione potrebbono procedere nel regno di Napoli, e che la declinazione in qualunque di questi luoghi partorirebbe la caduta nell'altro; e che in ultimo si ricordasse d'averlo commendato di essersi ritirato all'ufficio del pontefice, però non convenire che ora lo astrignesse a fare il contrario. Ma invano si dicevano queste cose, perché il duca, non aspettata la risposta, avea, come certo della concessione del pontefice, passato il Po al passo della Stellata che è nello stato di Milano: benché il quinto dí poi ritornò indietro, perché il re, avendo notizia che già cominciavano ad arrivare agli inimici i fanti tedeschi e che il duca di Borbone era andato nella Alamagna per muoverne maggiore quantità, volle serbarsi intero l'esercito insino non venisse nuovo supplemento di svizzeri e grigioni, i quali avea mandati a soldare.
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