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      Il quale breve presentato da Giovanni Corsi oratore fiorentino e aggiunte quelle parole che convenivano a tale materia, Cesare, il quale prima dimostrava non si potere persuadere che il pontefice in tanto pericolo l'abbandonasse, commosso molto di animo, rispose che né odio né ambizione né alcuna privata cupidità l'avea indotto a pigliare da principio la guerra contro al re di Francia, ma le persuasioni e l'autorità del pontefice Leone, confortato a questo (come si diceva) dal presente pontefice che allora era il cardinale de' Medici, dimostrandogli importare molto alla salute publica che quel re non possedesse cosa alcuna in Italia: il medesimo cardinale essere stato autore della confederazione che, innanzi alla morte di Adriano pontefice, si fece per la medesima cagione. Però essergli sommamente molesto che colui che sopra tutti gli altri era tenuto a non si separare da lui, ne' pericoli ne' quali era stato autore che entrasse, avesse fatto
      una mutazione che tanto gli noceva, e senza alcuna necessità: perché a che si potere attribuire altro che a soperchio timore, mentre che Pavia si difendeva? Ricordò quel che avea sempre, dopo la morte di Lione e specialmente in due conclavi, operato per la sua grandezza, e il desiderio che avea avuto che e' fusse assunto al pontificato, per mezzo del quale avea creduto s'avesse a stabilire la libertà e il bene comune d'Italia; né si persuadere che al pontefice fusse uscito della memoria la poca fede del re di Francia, né quel che dalla sua vittoria potesse o temere o sperare.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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