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      Ma per muovere i soldati e per sostentargli non aveano né danari né facoltà alcuna di provederne, degli aiuti del pontefice e de' fiorentini erano del tutto disperati, medesimamente di quegli de' viniziani. I quali, dopo aver interposto varie scuse e dilazioni, aveano finalmente risposto al protonotario Caracciolo, oratore di Cesare appresso a loro, volere procedere secondo che procedesse il pontefice, per mezzo del quale si credeva che secretamente avessino convenuto col re di Francia di stare neutrali; anzi confortavano occultamente il pontefice a fare scendere in Italia agli stipendi comuni diecimila svizzeri, per non avere a temere della vittoria di ciascuno de' due eserciti: cosa approvata da lui, ma per carestia di danari e per sua natura, eseguita tanto lentamente che molto tardi mandò in Elvezia il vescovo di Veroli a preparare gli animi loro.
      Sollevò alquanto le difficoltà di Pavia la industria del viceré e degli altri capitani: perché mandati nel campo franzese alcuni a vendere vino, Antonio de Leva, avuto il segno, mandò a scaramucciare da quella parte; donde levato il romore, i venditori, rotto il vaso grande, corsono in Pavia con uno piccolo vasetto messo in quello, nel quale erano rinchiusi tremila ducati: per la quale piccola somma fatti capaci, i tedeschi della difficoltà del mandargli, stettono in futuro piú pazienti. E levò anche il fomento de' tumulti la morte del capitano, proceduta in tempo tanto opportuno che si credette fusse stato, per opera di Antonio de Leva, morto di veleno.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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