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      Né erano travagliati da questo timore solamente quegli di autorità e forze minori ma, quasi piú che gli altri, il pontefice e i viniziani: questi, non solo per la coscienza di essergli mancati, senza giusta causa, ai capitoli della loro confederazione ma molto piú per la memoria degli antichi odii e delle spesse ingiurie state tra loro e la casa d'Austria e delle gravi guerre avute, pochi anni innanzi, con l'avolo suo Massimiliano, per le quali si era, nello stato che e' posseggono in terra ferma, rinfrescato maravigliosamente il nome e la memoria delle ragioni, quasi dimenticate, dello imperio; e per conoscere che ciascuno che avesse in animo di stabilire grandezza in Italia era necessitato a pensare di battere la potenza loro, troppo eminente: il papa, perché, dalla maestà del pontificato in fuora, la quale ne' tempi ancora della antica riverenza che ebbe il mondo alla sedia apostolica fu spesso mal sicura dalla grandezza degli imperadori, si trovava per ogn'altro conto molto opportuno alle ingiurie, perché era disarmato, senza danari e con lo stato della Chiesa debolissimo nel quale sono rarissime terre forti, non popoli uniti o stabili alla divozione del suo principe, ma diviso quasi tutto il dominio ecclesiastico in parte guelfa e ghibellina e i ghibellini, per inveterata e quasi naturale impressione, inclinati al nome degli imperadori, e la città di Roma sopra tutte l'altre debole e infetta di questi semi. Aggiugnevasi il rispetto delle cose di Firenze, le quali, dependendo da lui ed essendo grandezza propria e antica della sua casa, non gli erano forse manco a cuore che quelle della Chiesa; né era manco facile lo alterarle, perché quella città, poiché nella passata del re Carlo ne furono cacciati i Medici, avendo sotto nome della libertà gustato diciotto anni il governo popolare, era stata malcontenta del ritorno loro, in modo che pochi vi erano a' quali piacesse veramente la loro potenza.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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