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      Aveva in ultimo acceso questi sospetti e mala sodisfazione quando il papa acconsentí che per il dominio suo passassino, e fussino aiutate a condurre, le munizioni delle quali il duca di Ferrara accomodò il re di Francia mentre era a campo a Pavia, ma molto piú l'andata del duca di Albania alla impresa del reame di Napoli, perché non solo come amico fu per tutto lo stato della Chie
      sa e de' fiorentini ricettato e onorato, ma ancora si fermò molti giorni intorno a Siena per riformare a stanza sua il governo di quella città: il che se bene allungava l'andata del duca al reame di Napoli, e a questo effetto principalmente era stato procurato da lui per essergli molesto che uno medesimo diventasse signore di Napoli e di Milano; nondimeno gli imperiali avevano per questo fatta interpretazione che tra il re di Francia e lui fusse stato fatto altro legame che semplice promessa di non offendere. Però temeva giustamente il pontefice non solo di essere offeso, come temevano tutti gli altri, dai cesarei, col tempo e con l'occasione, ma che ancora, senza aspettare opportunità maggiore, non assaltassino subito o lo stato della Chiesa o quello di Firenze. E gli accrebbe il timore che, essendosi il duca d'Albania, come ebbe avviso della calamità del re, ritirato, per salvarsi, da Monteritondo verso Bracciano, e fatti ancora andare là cento cinquanta cavalli che erano in Roma, i quali il papa fece accompagnare insino là dalla sua guardia, perché il duca di Sessa e gli imperiali si preparavano per rompere le genti sue, accadde che, venendo da Sermoneta circa quattrocento cavalli e mille dugento fanti delle genti degli Orsini, seguitati da Giulio Colonna con molti cavalli e fanti, furno rotti da lui alla abbazia delle Tre Fontane; ed entrati fuggendo in Roma per la porta di San Paolo e di San Sebastiano, le genti di Giulio, entrate dentro con loro, ne ammazzorono insino in Campo di Fiore e in altri luoghi della città: la quale con tumulto grande si levò tutta in arme, prima con grande timore e poi con grande indignazione del pontefice, che all'autorità sua non fusse avuto né rispetto né riverenza alcuna.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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