Soggiugnendo che benché questa vittoria gli potesse parere giustamente tutta sua, per non essere stato seco ad acquistarla alcuno degli amici, voleva nondimeno che la fusse comune a tutti; anzi, avendo udito l'oratore viniziano che gli giustificava le cose fatte dalla sua republica, disse poi a' circostanti, le scuse sue non essere vere ma che voleva accettarle e riputarle per vere. Nelle quali parole e dimostrazioni, significatrici di somma sapienza e bontà, poiché si fu continuato qualche dí, egli, per procedere maturamente come era consueto, chiamato uno giorno il consiglio, propose lo consigliassino in che modo fusse da governarsi col re di Francia e a che fine dovesse indirizzarsi questa vittoria; comandando che per ciascuno si consigliasse liberamente alla presenza sua. Dopo il quale comandamento il vescovo di Osma, che teneva la cura del confessarlo, parlò cosí:
- Se bene, gloriosissimo principe, tutte le cose che accaggiono in questo mondo inferiore procedono dalla providenza del sommo Dio e da quella hanno giornalmente il moto suo, pure questo talvolta in qualcuna si scorge piú chiaramente: ma se si vedde mai manifestamente in alcuna, si è veduto nella presente vittoria; perché, per la grandezza sua e per la facilità con la quale è stata acquistata, e per essersi vinti inimici potentissimi e molto piú abbondanti di noi delle provisioni necessarie alla guerra, non può negare alcuno che non sia stata espressa volontà di Dio e quasi miracolo. Però, quanto il beneficio suo è stato piú manifesto e maggiore tanto piú è obligata la Maestà vostra a riconoscerlo e a dimostrarne la debita gratitudine; il che principalmente consiste nello indirizzare la vittoria secondo che piú sia il servigio di Dio, e a quel fine per il quale si può credere che egli ve la abbia conceduta.
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