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      ine di Cesare, che dettono animo ad altri di tentare nuovi disegni: donde a Cesare, se e' non pensava a occupare piú oltre in Italia, si presentò giusta cagione anzi quasi necessità di fare altri pensieri; e se pure aveva fini ambiziosi ebbe occasione di coprirgli con la piú onesta occasione e col piú giustificato colore che avesse saputo desiderare. Il che, poiché fu origine di grandissimi movimenti, è necessario che molto particolarmente si dichiari.
      La guerra che, vivente Leone decimo, fu cominciata da lui e da Cesare per cacciare il re di Francia d'Italia fu presa sotto titolo di restituire Francesco Sforza nel ducato di Milano; e benché in esecuzione di questo, ottenuta la vittoria, gli fusse consegnata la ubbidienza dello stato e il castello di Milano e l'altre fortezze, quando si recuperorono, nondimeno, essendo quello ducato tanto magnifico e tanto opportuno, non cessava il timore avuto nel principio da molti che Cesare aspirasse a insignorirsene, interpretando che lo ostacolo potente che aveva del re di Francia fusse cagione che per ancora tenesse occulta questa cupidità, perché arebbe alterato i popoli che ardentemente desideravano Francesco Sforza per signore, e concitatasi contro tutta Italia che non sarebbe stata contenta di tanto suo augumento. Teneva adunque Francesco Sforza quello ducato, ma con grandissima suggezione e pesi quasi incredibili: perché, consistendo tutto il fondamento della difesa sua dai franzesi in Cesare e nel suo esercito, era necessitato non solo a osservarlo come suo principe ma ancora a stare sottoposto alla volontà de' capitani; e gli bisognava sostentare quelle genti che non erano pagate da Cesare, ora col dare loro danari, che si traevano dai sudditi con grandissime angherie e difficoltà, ora col lasciargli vivere a discrizione quando in una quando in un'altra parte, eccetto la città di Milano, dello stato: le quali cose, per sé gravissime, faceva intollerabili la natura degli spagnuoli avara e fraudolente e, quando hanno facoltà di scoprire gli ingegni loro, insolentissima; nondimeno il pericolo che si correva da' franzesi, a' quali i popoli erano inimicissimi, e la speranza che queste cose avessino qualche volta finalmente a terminare facevano tollerare agli uomini sopra le forze ancora, e sopra la loro possibilità. Ma dopo la vittoria di Pavia non potevano i popoli piú tollerare che non continuando le medesime necessità, poiché era prigione il re, continuasse nondimeno il pericolo delle medesime calamità; e perciò dimandavano che di quello ducato si rimovesse o tutto o la maggiore parte dello esercito: il medesimo ardentemente desiderava il duca, non avendo insino allora sentito del dominare altro che il nome, e non manco perché temeva che Cesare, assicurato del re di Francia, o non lo occupasse per sé o non lo concedesse a persone che da lui totalmente dependessino.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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