Da altra parte il pontefice non sapeva resistere alla importunità del duca di Sessa oratore cesareo, perché in lui era quasi sempre repugnanza grande dalla disposizione alla esecuzione; conciossiaché, alienissimo per sua natura dal concedere qualunque grazia dimandatagli, non sapeva anche difficultarle, o negarle costantemente; ma lasciando spesso vincere la volontà sua dalla importunità di quegli che dimandavano, e in modo che e' pareva che il piú delle volte concedesse piú per paura che per grazia, non procedeva in questo con quella costanza né con quella maestà che ricercava la grandezza della sua degnità né la importanza delle faccende che si trattavano. Cosí accadde nella dispensa dimandata; che combattendo in lui da uno canto la utilità propria dall'altro la sua mollizie, scaricò, come spesso era usato di fare, addosso ad altri quello che a lui non bastava non so se la fronte o l'animo di sostenere. Spedí per uno breve la dispensa nella forma dimandata da Cesare, e la mandò al cardinale de' Salviati, con commissione che, se le cose sue si risolvevano con Cesare secondo la speranza che aveva data di volere fare, subito che il cardinale arrivasse alla corte, gli desse il breve, altrimenti lo ritenesse: commissione nella quale il ministro, come in suo luogo si dirà, non fu né piú nervoso né piú costante che fusse stato il padrone.
Lib.16, cap.10
Il Morone fatto prigione dal marchese di Pescara. Il Pescara, occupato il ducato, costringe i milanesi a giurare fedeltà a Cesare, e cinge con trincee il castello di Milano ove trovasi il duca; timori d'Italia tutta per la potenza di Cesare; come fu giudicato l'operato del marchese di Pescara.
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