Ma il caso sopravenuto di Milano empié quello senato di grandissima perplessità, essendo da una parte molestissimo restare soli in Italia contro a Cesare, con pericolo che, come minacciava il marchese di Pescara di volere fare, la guerra non si trasferisse nel loro dominio (e già ne appariva qualche preparazione), da altra, non manco, di accrescere col loro accordo la facilità a Cesare di insignorirsi totalmente di quel ducato; il quale, aggiuntogli a tanti stati e a tante altre opportunità, era la scala di soggiogare loro con tutto il resto d'Italia. Né cessava di confortargli al medesimo efficacemente il vescovo di Baiosa, mandato da madama la reggente per trattare la unione sua con gli italiani contro a Cesare; nel quale frangente le consulte loro erano spesse ma dubbie, e piene di varie opinioni; e se bene lo accettare l'accordo fusse piú conforme alla consuetudine loro, perché rimoveva i pericoli presenti, donde potevano sperare nella lunghezza del tempo e nelle occasioni che possono aspettare le republiche, le quali a comparazione de' príncipi sono immortali, pure pareva anche loro troppo importante che Cesare si confermasse nello stato di Milano, e che i franzesi restassino esclusi di ogni speranza di avere alcuna congiunzione in Italia. Però, determinati finalmente di non si obligare a cosa alcuna, risposono al protonotario Caracciolo che i progressi loro passati facevano fede a tutto il mondo (ed egli ancora, che si era trovato a conchiudere la confederazione, ne era buono testimonio) quanto avessino sempre desiderato la amicizia di Cesare, col quale si erano collegati in tempo che lo accostarsi loro a' franzesi sarebbe stato, come sapeva ciascuno, di grandissimo momento; e che sempre avevano perseverato e ora piú che mai perseveravano nella medesima disposizione; ma che di necessità gli teneva sospesi il vedere che in Lombardia si fusse fatta innovazione di tanta importanza, e massime ricordandosi che e la confederazione loro con Cesare e tanti altri movimenti, che si erano fatti a questi anni in Italia, non avevano avuto altro fine che il volere che il ducato di Milano fusse di Francesco Sforza, come fondamento necessario alla libertà d'Italia e alla sicurtà universale: e però pregare Sua Maestà che, imitando in questo caso se medesima e la sua bontà, volesse rimuovere questa innovazione e stabilire la quiete d'Italia come era in potestà sua di fare, perché gli troverebbe sempre dispostissimi, e con l'autorità e con le forze, a seguitare questa santa inclinazione; né gli darebbono mai causa che da loro avesse a desiderare uffizio alcuno cosí al proposito del bene universale come degli interessi suoi particolari.
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