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      Perché essendo Giulio di natura grave, diligente, assiduo alle faccende, alieno da' piaceri, ordinato e assegnato in ogni cosa, e avendo in mano per volontà di Lione tutti i negozi importanti del pontificato, sosteneva e moderava molti disordini che procedevano dalla sua larghezza e facilità; e quel che è piú, non seguendo il costume degli altri nipoti e fratelli de' pontefici, preponendo l'onore e la grandezza di Lione agli appoggi potesse farsi per dopo la sua morte, gli era in modo fedelissimo e ubbidientissimo che pareva che veramente fusse un altro lui; per il che fu sempre piú esaltato dal pontefice, e rimesse a lui ogni dí piú le faccende: le quali, in mano di due nature tanto diverse, mostravano quanto qualche volta convenga bene insieme la mistura di due contrari. L'assiduità la diligenza l'ordine la gravità di costui, la facilità la prodigalità i piaceri e la ilarità di quell'altro, facevano credere a molti che Lione fusse governato da Giulio, e che egli per se stesso non fusse uomo da reggere tanto peso, non da nuocere ad alcuno e desiderosissimo di godersi i comodi del pontificato; e allo incontro, che in Giulio fusse animo ambizione cupidità di cose nuove, in modo che tutte le severità tutti i movimenti tutte le imprese che si feceno a tempo di Lione si credeva procedessino per istigazione di Giulio, riputato uomo maligno ma di ingegno e di animo grande. La quale opinione del valore suo si confermò e accrebbe dopo la morte di Lione; perché, in tante contradizioni e difficoltà che ebbe, sostenne con tanta dignità le cose sue che pareva quasi pontefice, e si conservò in modo l'autorità appresso a molti cardinali che, entrato in due conclavi assoluto padrone di sedici voti, aggiunse finalmente, nonostante infinite contradizioni della maggiore parte e de' piú vecchi del collegio, dopo la morte di Adriano, al pontificato, non finiti ancora due anni dalla morte di Lione: dove entrò con tanta espettazione che fu fatto giudizio universale che avesse a essere maggiore pontefice e a fare cose maggiori che mai avesse fatte alcuni di coloro che avevano insino a quel dí seduto


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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