Non crediamo noi che gli arda di sdegno quando e' si ricorda di essere stato tanti mesi vostro prigione? tenuto sempre con guardie sí strette, non avere mai avuto grazia di essere stato condotto al cospetto vostro? che in questa carcere, per i dispiaceri e incomodità, è stato vicino alla morte? e che ora non si libera per magnanimità o per amore ma per paura di tanta unione che si tratta contro a voi? Crediamo noi che sia piú potente di tanti stimoli il parentado fatto per necessità? E chi non sa quanto i príncipi stimano questi legami? e chi è migliore testimonio del conto che si tiene de' parentadi che noi? Parrà forse a qualcuno che assai ci assicuri la fede che e' darà di ritornare in prigione! e che fondamenti inconsiderati, che speranze imprudenti sarebbeno queste? Cosí mi sforza, Cesare, a parlare il dolore estremo che io ho che e' si pensi di prendere uno partito tanto dannoso e pericoloso. Sappiamo pure tutti quanto sia stimata la fede negli interessi degli stati, che vagliano le promesse de' franzesi, i quali, aperti in tutto il resto, sono maestri perfettissimi di ingannare; che questo re è per natura tanto piú scarso di fatti quanto è piú abbondante di parole. Però conchiudiamo pure che, non benivolenza tra due príncipi che hanno per antichissima eredità le ingiurie e le inimicizie, non memoria de' benefizi de' quali non ci è nissuno, non fede o promesse (che nelle importanze dello stato sono appresso di molti di poco peso, appresso a' franzesi di niuno) lo indurranno a eseguire un accordo che metta in cielo lo inimico suo, e sé e il suo reame in manifesta suggezione.
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Cesare
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