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      E gli scrisse, pochi dí poi, un'altra lettera di mano propria, la quale gli mandò per il medesimo Errera che aveva portato la lettera scritta a lui di mano propria del pontefice; rispondendogli parte con parole dolci, parte mescolate di qualche acerbità: conchiudendo che restituirebbe il ducato a Francesco Sforza in caso non avesse fatto il delitto di che era imputato, e che voleva che questo si vedesse per giustizia dai giudici deputati da sé come da suo superiore; ma constando che avesse fallito non poteva mancare di investirne il duca di Borbone, a chi egli medesimo era stato cagione che e' lo avesse promesso, avendogliene nel tempo della infermità di Francesco Sforza proposto; e che per sodisfare a lui, e per assicurare dello animo [suo] Italia, non aveva voluto né ritenerlo per sé né darlo al fratello proprio; affermando, sopra la fede sua, questa essere veramente la sua intenzione; la quale pregava efficacemente che approvasse, offerendogli sempre l'autorità e le forze sue, come obbediente figliuolo della sedia apostolica. Portò ancora il medesimo Errera la risposta alla minuta del capitolo stato disteso dal pontefice in favore di Francesco Sforza, il quale Cesare, perseverando nella sua prima deliberazione, non aveva voluto approvare; anzi indirizzò per lui al duca di Sessa la forma dello accordo al quale per ultimo si risolveva, con autorità di stipularlo in caso che da lui fusse accettato. Contenevasi in essa che Francesco Sforza fusse compreso nella loro confederazione in caso non avesse lesa la maestà di Cesare, ma in caso della sua morte o privazione succedesse nella confederazione il duca di Borbone, investito da lui del ducato di Milano: confermavasi la obligazione fatta dal viceré della restituzione delle terre che teneva il duca di Ferrara, ma con condizione che il pontefice fusse tenuto a concedergli la investitura di Ferrara e rimettergli la pena della contravenzione; cosa contraria ai pensieri del pontefice, che aveva disegnato di esigere la pena de' centomila ducati, per pagare con questa i centomila promessi a Cesare in caso di quella restituzione: non ammetteva che lo stato di Milano avesse a levare i sali della Chiesa, né di riferirsi, in quanto alle collazioni benefiziali del reame di Napoli, al tenore delle investiture ma allo uso de' re passati, i quali in molti casi avevano disprezzato le ragioni e l'autorità della sedia apostolica.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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