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      Dalla quale ragione si inferiva similmente che avesse a esercitare ardentissimamente la guerra: perché pareva inutilissimo consiglio, confederandosi contro a Cesare, privarsi della recuperazione de' figliuoli con l'osservanza della concordia; e nondimeno, da altra parte, pretermettere quelle cose per le quali poteva sperare di conseguirgli gloriosamente con l'armi.
      Considerorno forse, quegli che discorsono in questo modo, piú quello che ragionevolmente si doveva fare che non considerorno quale sia la natura e la prudenza de' franzesi: errore, nel quale certamente spesso si cade nelle consulte e ne' giudizi che si fanno della disposizione e volontà di altri. Anzi forse non considerorono perfettamente quanto i príncipi, consci il piú delle volte della inclinazione propria ad anteporre l'utilità alla fede, siano facili a persuadersi il medesimo degli altri príncipi; e che però il re di Francia, sospettando che il pontefice e i viniziani, come per l'acquisto del ducato di Milano fussino assicurati della potenza di Cesare, diventassino negligenti o alieni dagli interessi suoi, giudicasse essergli piú utile la lunghezza della guerra che la vittoria, come mezzo piú facile a indurre Cesare, stracco dai travagli e dalle spese, a restituirgli con nuova concordia i figliuoli. Ma movendo il pontefice le ragioni precedenti, e molto piú la penitenza di avere aspettato oziosamente il successo della giornata di Pavia, e lo essere statone morso e ripreso di timidità da ciascuno, le voci di tutti i suoi ministri, di tutta la corte, di tutta Italia, che lo increpavano che la sedia apostolica e Italia tutta fussino ridotte in tanti pericoli per colpa sua, deliberò finalmente non solo di confederarsi col re di Francia e con gli altri contro a Cesare ma di accelerarne la conclusione, e per gli altri rispetti e per questo massime, che le provisioni potessino essere a tempo a soccorrere il castello di Milano innanzi che per la fame si arrendesse agli inimici.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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