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      Ma rispondendo il duca che, per le ingiurie fattegli dai suoi capitani, era stato necessitato a ricorrere agli aiuti del pontefice e de' viniziani, senza partecipazione de' quali non era conveniente disponesse di se medesimo, gli dette don Ugo speranza la intenzione di Cesare essere che le imputazioni che egli erano date si vedessino sommariamente per il protonotario Caracciolo, prelato confidentissimo a lui; accennando farsi questo piú presto per restituirgli lo stato con maggiore conservazione della riputazione di Cesare che per altra cagione, e che parlato che avesse col pontefice darebbe perfezione a queste cose: e nondimeno non consentí che prima si levasse l'assedio, e si promettesse di non innovare cosa alcuna, come il duca faceva instanza. Credettesi, e cosí divulgò poi la fama, che le facoltà date da Cesare a don Ugo fussino molto ampie, non solo di convenire col pontefice con la reintegrazione del duca di Milano ma eziandio di convenire col duca solo, assicurandosi che, restituito nello stato, non nocesse alle cose di Cesare; ma non commesso cosí se non con limitazione di quello che consigliassino i tempi e la necessità; e che don Ugo, considerando in che estremità fusse ridotto il castello, e che la concordia col duca non giovava alle cose di Cesare se non quanto fusse mezzo a stabilire la concordia col pontefice e co' viniziani, giudicasse inutile il comporre con lui solo. Feciono dipoi don Ugo e il protonotario condurre a Moncia il Morone, che era prigione nella rocca di Trezo piú presto perché il protonotario pigliasse informazione da lui, avendo a essere giudice della causa, che per altra cagione.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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