Ma la iniquissima fortuna nostra ci costrigne a esporre a voi, perché da altri non speriamo né aspettiamo rimedio alcuno, le nostre estreme miserie, maggiori senza comparazione di quelle che le città debellate per forza dagli inimici sogliono patire dalla avarizia dall'odio dalla crudeltà dalla libidine e da tutte le cupidità de' vincitori. Le quali cose, per se stesse intollerabili, rende ancora piú gravi l'esserci a ogni ora rimproverato che le si fanno [in] pena della infedeltà del popolo di Milano verso Cesare; come se i tumulti concitati a' dí passati fussino stati concitati con publico consentimento e non, come è notorio, da alcuni giovani sediziosi i quali temerariamente sollevorono la plebe, sicura, per la povertà, di potere perdere, cupida sempre per sua natura di cose nuove; e la quale, facile a essere ripiena di errori vani, di false persuasioni, si sospigne all'arbitrio di chi la concita, come si sospigne al soffio de' venti l'onda marina. Noi non vogliamo, per escusare o alleggerire le imputazioni presenti, raccontare quali siano state gli anni passati le operazioni del popolo milanese, dalla prima nobiltà insino alla infima plebe, per servizio di Cesare: quando la città nostra, per la devozione inveterata al nome cesareo, si sollevò con tanta prontezza contro a governatori e contro all'esercito del re di Francia; quando poi con tanta costanza sostenemmo due gravissimi assedi, sottomettendo volontariamente le nostre vettovaglie le nostre case alle comodità de' soldati, sostentandogli, perché mancavano gli stipendi di Cesare, prontissimamente co' danari propri, esponendo con tanta alacrità in compagnia de' soldati le nostre persone, il dí e la notte, a tutte le guardie a tutte le fazioni militari a tutti i pericoli; quando, il dí che si combatté alla Bicocca, il popolo di Milano con tanta ferocia difese il ponte, per il quale passo solo speravano i franzesi potere penetrare negli alloggiamenti dell'esercito cesareo.
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