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      Non si parlò in questa convenzione cosa alcuna del castello di Cremona; il quale il duca, non potendo piú resistere alla fame, aveva commesso a Iacopo Filippo Sacco mandato da lui al duca di Borbone che, non potendo ottenere l'accordo altrimenti, lo promettesse loro. Ma egli accorgendosi, per le parole e modi del loro maneggio, del desiderio grande che avevano di convenire, mostrando il duca non essere mai per cedere questo, ottenne non se ne parlasse: perché i capitani imperiali, ancora che per molte congetture comprendessino non essere nel castello molte vettovaglie, e che la necessità presto era per fargli ottenere lo intento loro, nondimeno, desiderosi di assicurarsene, avevano deliberato di accettarlo con ogni condizione, non essendo certi che lo esercito della lega appropinquatosi non tentasse di soccorrerlo; nel quale caso, non confidando del potersi bene difendere le trincee, erano risoluti di uscire in su la campagna a combattere: il quale evento dubbio della fortuna fuggirono volentieri con accettare dal duca quello che potessino avere. Il quale, uscito il dí seguente del castello e accompagnato da molti di loro insino alle sbarre dello esercito, poiché vi fu dimorato uno dí, si indirizzò al cammino di Como; ma allegando, gli imperiali avergli promesso di dargli la stanza sicura in Como ma non già di levarne le genti che vi avevano a guardia, non volendo piú fidarsi di loro, se bene prima avesse deliberato non fare cosa che potesse irritare piú l'animo di Cesare, se ne andò a Lodi: la quale città fu dai confederati liberamente rimessa in sua mano.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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