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      Costrinseno questi disordini e il perdersi la speranza di pigliare altrimenti Cremona (perché in quel campo mancava governo e obbedienza) il duca di Urbino a andarvi personalmente. Il quale, levato dello esercito che era intorno a Milano quasi tutti i fanti de' viniziani, e lasciatavi una parte delle genti d'arme con tutte le genti ecclesiastiche e i svizzeri, che erano già arrivati in numero di tredicimila, sprezzando (ora che vi restava minore numero di gente, e spogliata di uno capo di tale autorità) quello pericolo che prima, quando vi era egli con maggiori forze, dimostrava continuamente di temere, e affermando non essere uso di genti di guerra, e degli spagnuoli manco che degli altri, assaltare altre genti di guerra nella fortezza de' loro alloggiamenti, si condusse intorno a Cremona; disegnando di vincerla non per forza sola di batteria e di assalti, perché i ripari degli inimici erano troppo gagliardi, ma col cercare con numero grandissimo di guastatori accostarsi alle trincee e bastioni loro, e con la forza delle zappe piú che con l'armi insignorirsene.
      Fu imputato il governo di questa impresa contro allo stato di Milano dai capitani imperiali in molte cose, e principalmente della ritirata da porta Romana, ma non manco dello avere tentata da principio debolmente e con poche forze la oppugnazione di Cremona, confidandosi vanamente che fusse facile il pigliarla, e che dipoi scoprendosi le difficoltà avessino, continuandola, impegnatovi tale parte dello esercito che avesse impedito loro le occasioni maggiori che nel tempo che si consumò quivi si presentorono.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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