Sedato poi il tumulto, che durò poco piú di tre ore perché in Roma non fu fatto danno o molestia alcuna, don Ugo, sotto la fede del pontefice e ricevuti per statichi della sicurtà sua i cardinali Cibo e Ridolfi nipoti cugini del pontefice, andò a parlargli in Castello; dove usate parole convenienti a vincitore, propose condizioni di tregua. Sopra che, essendo differita la risposta al dí seguente, fu conchiusa la concordia, cioè tregua, tra il pontefice in nome suo e de' confederati e tra Cesare, per quattro mesi, con disdetta di due altri mesi, e con facoltà a' confederati di entrarvi infra due mesi; nella quale fussino inclusi non solo lo stato ecclesiastico e il regno di Napoli ma eziandio il ducato di Milan
o i fiorentini i genovesi i sanesi e il duca di Ferrara, e tutti i sudditi della Chiesa mediate e immediate. Fusse obligato il pontefice ritirare subito di qua da Po le genti sue che erano intorno a Milano, e rivocare dall'armata Andrea Doria con le sue galee, e gli imperiali e i Colonnesi a levare le genti di Roma e di tutto lo stato della Chiesa e ritirarle nel reame di Napoli; perdonare a Colonnesi e a chiunque fusse intervenuto in questo insulto; dare per statichi della osservanza Filippo Strozzi e uno de' figliuoli di Iacopo Salviati, il quale si obligò a mandarlo a Napoli infra due mesi, sotto pena di trentamila ducati. Alla quale tregua concorse l'una parte e l'altra cupidamente: il pontefice per non essere in Castello vettovaglia da sostentarsi; don Ugo, benché reclamando i Colonnesi, perché gli pareva fatto assai a benefizio di Cesare, e perché quasi tutta la gente con che era entrato in Roma, carica della preda, si era dissipata in diverse parti.
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