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      Da questa tregua si interroppeno tutti i disegni di Lombardia e tutto il frutto della vittoria di Cremona: perché non ostante che, quasi ne' medesimi dí, arrivasse allo esercito con le lancie franzesi il marchese di Saluzzo, nondimeno, mancando le genti del pontefice, che per la tregua, il settimo dí di ottobre, si ritirorono la maggiore parte a Piacenza, si disordinò non meno il disegno del mandare gente a Genova che il disegno fatto di strignere Milano con due eserciti. Dette anche qualche disturbo che il duca d'Urbino, fatto che ebbe l'accordo con quegli di Cremona, non aspettata la consegnazione andò in mantovano, ancora che già sapesse la tregua fatta a Roma, a vedere la moglie; e avendo consentito alle genti che erano in Cremona prorogazione di tempo a partirsi, aspettò la partita loro intorno a Cremona tanto tempo che non fu allo esercito prima che a mezzo il mese di ottobre, con gravissimo detrimento di tutte le faccende; perché si trattava di mandare gente a Genova, ricercate piú che mai da Pietro Navarra e dal proveditore dell'armata viniziana, ed essendo nello esercito, ricongiunte vi fussino le genti viniziane, tante forze che bastavano a fare questo effetto senza partirsi di quello alloggiamento. Perché e col marchese di Saluzzo erano venute cinquecento lancie e quattromila fanti, e vi si aspettavano di giorno in giorno i duemila fanti grigioni condotti per l'accordo che si fece con loro; e il pontefice, ancora che facesse palese dimostrazione di volere osservare la tregua, nondimeno, avendo occultamente diversa intenzione, aveva lasciato nello esercito quattromila fanti sotto Giovanni de' Medici, sotto pretesto che fussino pagati dal re di Francia: scusa che aveva apparente colore, perché Giovanni de' Medici era continuamente soldato del re, e sotto suo nome riteneva la compagnia delle genti d'arme.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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