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      Pareva anche molto inclinato particolarmente al beneficio del pontefice; ma non si potevano sperare i rimedi pronti da uno principe che non misurava bene le forze sue e le condizioni presenti d'Italia, e che anche non si era fermato in una determinata volontà; ritirandolo sempre in parte la speranza datagli da Cesare di mettere in sua mano la pratica della pace, benché non corrispondessino gli effetti: perché essendo andato a lui per questo effetto l'auditore della camera, ancora che Cesare si sforzasse di persuadergli con molte arti questa essere la sua intenzione, nondimeno, aspettando di intendere prima quel che per la passata de' tedeschi e dell'armata fusse succeduto in Italia, non dava risposta certa, mettendo eccezione ne' mandati de' collegati come se non fussino sufficienti. Mandò anche il re a Roma, per favorire la impresa del regno di Napoli, Valdemonte fratello del duca del Loreno, che per l'antiche ragioni del re Renato pretendeva alla successione di quello reame. Ma al pontefice noceva appresso a confederati il trattare continuamente la concordia col viceré, dubitando che a ogn'ora non convenisse seco, e però parendo quasi inutile al re di Francia e a' viniziani tutto quello che spendessino per sostenerlo: la quale suspizione accresceva il timore estremo che appariva in lui e i protesti cotidiani di non potere piú sostenere la guerra, aggiunto all'ostinazione di non volere creare cardinali per denari, né aiutarsi, in tanta necessità e in tanto pericolo della Chiesa, co' modi consueti, eziandio nelle imprese ambiziose e ingiuste, agli altri pontefici.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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