Mandò dipoi Borbone, il nono dí di febbraio, dieci insegne di spagnuoli a vettovagliare Pizzichitone, e a' quindici dí, il conte di Gaiazzo co' cavalli leggieri e fanti suoi venne ad alloggiare al Borgo a San Donnino, abbandonato dagli ecclesiastici. Il quale, il dí seguente, per pratica tenuta prima con lui, e pretendendo egli di essere, perché non era pagato, libero dagli imperiali, passò nel campo ecclesiastico: condotto dal luogotenente, piú per sodisfare ad altri che per seguitare il giudizio suo proprio, con mille ducento fanti e centotrenta cavalli leggieri, i quali aveva seco, e con condizione che, essendogli tolto da Cesare il contado suo di Gaiazzo, avesse dopo otto mesi il pontefice, insino lo ricuperasse, a pagargli ciascuno anno l'entrata equivalente.
Desiderava Borbone, seguitato il consiglio del duca di Ferrara (il quale nondimeno recusò di cavalcare nello esercito) di andare piú presto a Bologna e a Firenze che soprasedere in quelle terre, di partire a ogn'ora; ma a' diciassette dí si ammutinorno i fanti spagnuoli dimandando denari, e ammazzorno il sergente maggiore mandato da lui a quietargli: e nondimeno, quietato il meglio possette il tumulto, a' venti dí passò con tutto l'esercito la Trebbia e alloggiò a tre miglia di Piacenza; avendo seco cinquecento uomini d'arme e molti cavalli leggieri, i quali la piú parte erano italiani, non mai pagati, i fanti tedeschi venuti nuovamente, quattro o cinquemila fanti spagnuoli di gente eletta e circa dumila fanti italiani, sbandati e non pagati; essendo restati de' tedeschi vecchi una parte a Milano, gli altri andati verso Savona, per dare favore alle cose di Genova, ridotta in grandissima angustia.
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