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      E il duca di Urbino, il quale, proponendogli il luogotenente a Casalmaggiore che si accrescesse il numero de' svizzeri, l'aveva come cosa inutile recusato, ora instava seco che si proponesse a Roma e a Vinegia che si conducessino di nuovo quattromila svizzeri e dumila tedeschi; scusando la contradizione fatta allora perché la stagione non consentiva che si uscisse alla campagna, e avere creduto che gli inimici si risolvessino prima: a' quali, con questo augumento, prometteva di accostarsi. Consiglio disprezzato da tutti, perché a' pericoli presenti non soccorrevano rimedi tanto tardi; potendo anche egli essere certissimo che queste cose, per le difficoltà de' denari e volontà già disunite de' collegati, non si potevano mettere a esecuzione.
      Nel quale tempo il duca di Milano, che fatti tremila fanti difendeva Lodi e Cremona e tutto il di là da Adda, e scorreva nel milanese, occupò con subito impeto la terra di Moncia; ma fu presto abbandonata da i suoi, avuto avviso che Antonio da Leva, che aveva accompagnato Borbone, ritornato a Milano andava a quella volta; e si diceva avere seco dumila fanti tedeschi de' vecchi, mille cinquecento de' nuovi, mille fanti spagnuoli e cinquemila fanti italiani sotto piú capi.
      Ma Borbone, passata Secchia, presa la mano sinistra, si condusse, a' cinque di marzo, a Buonoporto; dove lasciato le genti andò al Finale ad abboccarsi col duca di Ferrara, che lo confortò assai a indirizzarsi, lasciati da parte tutti gli altri pensieri, alla volta di Firenze o di Roma: anzi si crede che lo consigliasse a indirizzarsi, lasciata ogni altra impresa, verso Roma.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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