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      Erano in questo tempo le genti de' viniziani a San Faustino presso a Rubiera: alle quali arrivò, il decimo ottavo dí di [marzo] il duca di Urbino; promettendo, secondo l'uso suo, al senato viniziano, quando era lontano dal pericolo, la vittoria quasi certa, non perciò per virtú dell'armi de' confederati ma per le difficoltà degli inimici.
     
      Lib.18, cap.5
     
      Sfiducia del pontefice per l'esito della guerra e per gli scarsi aiuti del re di Francia e degli altri collegati; suoi timori per Firenze e per lo stato della Chiesa; suoi accordi con i rappresentanti di Cesare. Incauti provvedimenti del pontefice, troppo fiducioso negli accordi conchiusi; ostinazione dell'esercito imperiale nel volere seguitare la guerra. Inosservanza della tregua da parte dell'esercito imperiale. Il viceré, rassicurato il pontefice, tratta a Firenze con inviati del Borbone.
     
      In questo stato essendo da ogni banda ridotte le cose, il pontefice, invilito per non avere denari (alla quale difficoltà non voleva porre rimedio col creare nuovi cardinali), invilito per non succedere secondo i primi disegni la impresa del regno, perché già le genti sue per mancamento di vettovaglia si erano ritirate a Piperno, invilito perché le provisioni de' franzesi amplissime di parole riuscivano, ogni dí piú, scarsissime di effetti, come continuamente avevano fatto dal primo dí insino all'ultimo di tutta la guerra. Perché, oltre alla tardità usata per il re in mandare il primo mese della guerra i quarantamila ducati, in espedire le cinquecento lancie e l'armata marittima, oltre al non avere voluto rompere, come era obligato, la guerra di là da' monti, disegnato per uno de' fondamenti principali di ottenere la vittoria, mancò eziandio nelle promesse fatte quotidianamente.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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